Trapani_Nuova_1970_anno_12_n_008, Martedì, 17 Marzo 1970

Trac trac… fa iI treno

 

Il sole brucia e brucia nella Sicilia dello sci­rocco che ti drizza i capelli, che ti fa urlare di paz­zia e di rabbia fra Ie rocce nude, tra declivi aridi e sperduti. E’ Ia Sicilia che d’estate uccide di calore e di malaria. La Sicilia dove i muri senza finestre servono a chiuderti e a soffocarti, dove i mari pian­gono nel rosso tramonto di scirocco, pozzanghere di sangue, dove l’odio cova e Ia vendetta è bruta­le e puoi leggerlo fra Ia barba irta come stoppie sulla faccia dell’arabo che ti guarda ad ogni an­golo di strada sotto una coppola storta.

Le montagne mostrano il loro gruppo arido con un’ostilità che senti in tutto il tuo essere. Cer­ca

no di riacciuffarti, tirarti, ridimensionarti. Il figliol prodigo che arriva; non più l’americano, ma l’erede degli emigranti di questa terra povera e de­solata. Avevo Ia sensazione che qualcosa di questa isola mi appartenesse e mi arrabbiavo. Il sole col­piva crudelmente i muri di calce bianca delle case di un popolo che vive in un continuo gruppo scu­ro, che odia se stesso e il mondo che Io circonda, che diffida di tutto e di tutti, che pensa al vicino come ad un nemico pronto a piantargli un paio di corna. Ed io tornavo in questa Sicilia, Napoli-Messina. Messina-Trapani, trecento chilometri in tre­no. Più di mezza giornata di viaggio.

Trac… trac… fa il treno. Il treno lento. Il tre­no ridicolo. Il treno fatto per i meridionali. Trac… trac… e il tempo si chiude… cucito dall’ago del movimento… e uno rimane appeso al dondolio, in­certo

errasi all’esistenza… appeso ad un cordone ombelicale attraverso il quale non scorre alcuna linfa e uno si indebolisce e… Io spazio si ridimensiona e diventa piatto. Trac… trac… va il treno della Sicilia… stupidamente, lentamente… perché qua il tempo son significa niente… trac… trac… vanno gli zoccoli dei cavalli… muoiono gli uomini… Ie speranze… trac… trac… fa il treno e una rabbia sorda nella pancia del morto… quat­tro candele… attorno, Ie donne con vestiti di cor­vo. .. trac… trac… fa il treno della Sicilia… e l’o­dio rode Ie budella del tempo… dello spazio… piatte diventano Ie montagne… piatto e impene­trabile anche io.

Ribellione? Inutile ribellarsi?… Trac… trac …; vendetta dalle mie budella… trac… trac… fa il treno della Sicilia Passano quattro ore come minuti e non significa niente… proprio niente.

 

Apri il tuo colletto, stupido della classe media, non senti Io scirocco? Levati Ia giacca signorotto siciliano… e anche Ia cravatta, stupido borghese. Perché questo tuo atteggiamento? Sei un morto di fame anche tu! Chi sei? Sei uno stronzo… trac… trac… fa il treno della Sicilia. Ahhh… sono di nuovo qua… grida Ia mia mente… e trema in lun­ghe vibrazioni attraverso Ie gallerie dentro Ie mon­tagne della Sicilia. Ahhh… questa terra morta rie­cheggia Ia mia disperazione, con indifferenza. Le­vati quella cravatta… qui si muore… si muore di caldo… Te ne stai lì impalato? Non senti questo caldo che soffoca? Oh…. poterti dare un calcio in culo… meglio nella pancia… sono stanco di sci­rocco. Ritorno… trac… trac… in Sicilia dove il tempo è pugno chiuso, duro… di roccia. Trac… trac… fa il treno della Sicilia nello scirocco di mor­te.

NAT SCAMMACCA

 Dal libro ”E il cielo parlò per me”

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